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Ebola, l’Arcidiocesi di Modena-Nonantola: nessun contagio per i giovani modenesi ad Istanbul

ebolaI test clinici sui giovani modenesi ad Istanbul hanno escluso la malaria e il virus Ebola. “Si tratta ora di organizzare il rientro dei giovani modenesi, compresa la giovane che era stata ricoverata in ospedale, in collaborazione con il Consolato Italiano, che ha dato loro assistenza e supporto nei giorni scorsi, a cui va un sentito ringraziamento”. Lo rende noto l’Arcidiocesi di Modena-Nonantola. “E un grande ringraziamento va anche ai Padri Salesiani di Istanbul, che si sono occupati dei giovani viaggiatori”, aggiunge la nota dell’Arcidiocesi.I due giovani avevano partecipato con altri ad un viaggio di solidarietà in Ciad ma nel volo di ritorno la ragazza aveva accusato malesseri ed era stata presa in carico dalle autorità sanitarie turche per un periodo di osservazione.

La partecipazione a questi campi, libera, scelta dai giovani, preparata nel corso dell’anno precedente, supportata ed accompagnata da persone con esperienza, permette ai giovani l’incontro e lo scambio, ed è un’esperienza che, come raccontano ogni volta i giovani al ritorno, arricchisce il visitatore e le comunità che accolgono, una vera esperienza formativa, che per molti ragazzi  si trasforma  poi in uno stimolo all’impegno quotidiano nei luoghi in cui vivono.

Il senso del viaggio, dalla voce di uno dei partecipanti: “So che scrivere due righe a caldo è sempre un rischio. Però mi dispiacerebbe anche che questa bufera diplomatica – mediatica mi facesse dimenticare, o anche solo mettere da parte, quello che questo viaggio è stato veramente.

C’è una parola in francese “brassage”, che non conosce traduzione letterale in italiano; ma per farci capire il senso, i ciaddiani stringevano le mani intrecciando le dita fra loro ed allora ci era chiaro: eravamo lì per mischiarci, per legarci, per farci coinvolgere. Quindi ci abbiamo provato, grazie ad un’ irripetibile opportunità che ci è stata data: vivere ventiquattro ore al giorno insieme a loro, come loro.
Dormire nei locali dove spesso vengono ospitati i profughi del non lontano Darfur ci ha fatto pensare alle nostre comode camere da letto; cucinare e mangiare cinque varietà di cibo differente in quattro settimane ci ha ricordato l’abbondanza sulle nostre tavole; centellinare l’acqua nel secchio per fare la doccia ci ha ricordato le vasche da bagno.

E si, ci siamo anche ammalati. Ma non c’è stato un attimo in cui abbiamo pensato “che sfortunati che siamo!”. Piuttosto abbiamo ringraziato per l’ennesima volta Dio, che per l’ennesima volta ci dava la possibiltà di vivere dignitosamente anche nella malattia, grazie ai soldi che ci permettevano di pagare le cure.

Per ora quello che sappiamo fare è ripetere questo grazie, consapevoli che non basterà mai. E cercare di non dimenticare la gioia delle comunità in festa, dei corpi che danzano, delle voci che sempre ci hanno detto “ça va aller, on est ensemble!” “Andrà tutto bene, siamo insieme!”.
Senza polemiche, senza accuse al nostro mondo, ma grati a chi ci ha concesso di partire e di tornare così ricchi”.

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