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Marito e moglie nigeriani che sfruttavano connazionali arrestati dalla Polizia a Bologna

Alle prime luci di oggi, personale della Squadra Mobile della Questura di Bologna ha tratto in arresto M.A.O., 33enne nata a Benin City e F.O., 35enne nato a Lagos in esecuzione ad una ordinanza (emessa dal Tribunale Ordinario di Bologna, Ufficio del Giudice per le indagini preliminari, su richiesta della Procura di Bologna) applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari. I due cittadini nigeriani, marito e moglie e genitori di quattro bambini, sono accusati dei reati di riduzione in schiavitù, tratta di esseri umani, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina aggravato e sfruttamento della prostituzione ai danni di due giovani connazionali, nonché di altre donne non meglio identificate.

L’attività d’indagine condotta dalla Polizia di Stato prende le mosse, nel giugno 2018, dalla denuncia di una delle due parti lese, cui ha fatto seguito la corrispondente denuncia sporta da un’altra ragazza sfruttata dalla coppia.

La dettagliata ricostruzione dei fatti raccontati in sede di denuncia dalla prima ragazza ha permesso di ricostruire – trovando pieno riscontro nell’attività tecnica posta in essere – la terribile storia di tratta subita; reclutata nel Paese d’origine tramite l’inganno e la sottoposizione all’usuale rito religioso che ne determina la sudditanza psicologica alla “Madame”, il lungo viaggio attraverso il Niger e l’arrivo in Libia, dove è stata detenuta per settimane, fino al successivo trasferimento in Italia nel luglio del 2017.

Giunta sul territorio nazionale, la ragazza è stata prelevata, assieme ad un’altra connazionale poi destinata ad un’altra sfruttatrice, dal centro di prima accoglienza in cui erano state collocate in Sicilia, ad opera di uno degli odierni destinatari di misura (F.O.), per essere poi condotta presso la propria abitazione a Bologna, dove con il preminente ruolo svolto dalla moglie (M.A.O.), ne sfruttava la prostituzione.

Dal primo giorno di arrivo a Bologna, la giovane vittima è stata costretta con minacce a prostituirsi – insieme ad un’altra connazionale (la seconda denunciante) che da molto più tempo si trovava in quella situazione – ed a consegnare tutti i proventi (a seconda della prestazione sessuale la ragazza doveva richiedere dai 10 ai 50 euro). Le veniva inoltre richiesto il pagamento di 300 euro mensili per poter dormire in un letto posto in terra nella cucina dell’abitazione, e di 150 euro al mese per potersi prostituire lungo il tratto di strada gestito dalla “Madame”, nella locale via Bentini. Il debito per il viaggio ammontava a 35.000 euro per la prima e a 55.000 euro – interamente pagati – per la seconda. Entrambe sottoposte ad uno stato di soggezione continuativa, approfittando della loro situazione di inferiorità psichica e di necessità, derivante anche dallo stato di clandestinità in un Paese del quale non conoscevano nemmeno la lingua.

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