A causa delle recenti calamità naturali ci saranno forti ripercussioni negative sulla richiesta di manodopera sia nelle aziende agricole che nelle cooperative di trasformazione. L’allarme è lanciato dal sindacato dei lavoratori agroindustriali Fai-Cisl di Modena, che stima nel 2014 una perdita tra le 30 e 40 mila giornate di lavoro, con possibili ripercussioni anche nel 2015. «Nei Comuni più colpiti dagli ultimi eventi (Bastiglia, Bomporto, Nonantola e Soliera) gli operai agricoli a tempo determinato hanno lavorato negli ultimi tre anni in media quasi 78 mila giornate l’anno – spiega Pier Secondo Mediani, reggente della Fai-Cisl – Dunque quest’anno rischiamo di perdere la metà delle giornate di lavoro e ci sono timori anche per il prossimo anno. Il Comune con le maggiori difficoltà lavorative potrebbe essere Bomporto, dove ha sede una grossa cooperativa ortofrutticola di conservazione e commercializzazione che già nel 2013 ha subito una riduzione di 8 mila giornate rispetto all’anno precedente. Preoccupa meno il caso dei dipendenti fissi, il cui dato medio è di circa 12 mila giornate lavorative annue; essi dovrebbero risentire della calamità in misura inferiore rispetto agli stagionali». Ricordiamo che gli operai fissi sono quelli assunti con contratto a tempo indeterminato, mentre gli stagionali lavorano al massimo 150 giorni l’anno. Nelle cooperative ortofrutticole sono quelli che lavorano durante il periodo della raccolta frutta e, nelle cantine, durante la vendemmia. Con la tromba d’aria e la grandinata del 30 aprile si è allargata l’area già colpita dal terremoto e dall’alluvione. Sono quasi 13 mila gli ettari coinvolti. Nella zona del Sorbara i danni alle colture vanno da un minimo del 30 per cento fino al 100 per cento della produzione 2014. «Le coltivazioni più colpite sono pere e uva, non solo la frutta ma anche le piante, quindi con danni probabili anche alla produzione del prossimo anno – afferma Valeria Camurri, direttore della Copagri (Confederazione produttori agricoli) di Modena – Questo causerà alle imprese perdite di quote di mercato perché, quando manca il prodotto, grossisti e commercianti lo reperiscono su altri mercati. Per quanto riguarda i risarcimenti, meglio abbandonare la richiesta della no tax area, che non è stata concessa nemmeno per il terremoto. Abbiamo già provveduto a consegnare ai parlamentari modenesi un emendamento da inserire nel “decreto Modena”, pubblicato a metà maggio in Gazzetta Ufficiale, con il quale chiediamo di lasciare aperta la valutazione dei danni da alluvione, risarcibili con il decreto, in modo da poter indennizzare con le risorse disponibili anche il mancato reddito causato dall’evento del 30 aprile per il quale, vista la sua eccezionalità e le distruzioni causate, chiediamo lo stato di emergenza». La Copagri ricorda che per le strutture danneggiate dal tornado, così come per la tromba d’aria del 3 maggio 2013, si aprirà una misura (la 126) sul Piano regionale di sviluppo rurale che liquida l’80 per cento delle spese di ricostruzione; sono comprese strutture, macchine e attrezzature, scorte vive e scorte morte eventualmente danneggiate. «Stiamo chiedendo alle nostre strutture nazionali maggiore attenzione e risorse sul “caso Modena”, il cui territorio è stato colpito nel 2012 dal terremoto e dalla siccità, nel 2013 dalla tromba d’aria e dalle piogge persistenti, nel 2014 dall’alluvione, dall’eccezionale grandinata del 30 aprile, nonché dal tornado dello stesso giorno. Questo – continua Camurri – sapendo che siamo in ”concorrenza” con i disastri ambientali accaduti in Veneto, Calabria, Sardegna e Marche. Urgono provvedimenti per far fronte all’emergenza ambientale e al dissesto idrogeologico. La legge 102 sulle calamità, infatti, non concedendo né contributi a fondo perduto né mutui a tasso agevolato per le aziende che hanno subito danni per le colture assicurabili, non è di fatto una fonte alla quale attingere. Questo nonostante la grandinata del 30 aprile abbia divelto reti antigrandine e danneggiato la produzione sottorete che non viene ovviamente assicurata proprio perché le reti – conclude il direttore della Copagri di Modena – dovrebbero essere sufficientemente protettive».